Le macchine da scrivere Olympia hanno fatto la storia della scrittura internazionale. Erano l’equivalente della Mercedes Benz ed erano prima popolari tra gli sceneggiatori di Hollywood, oggi un must nelle collezioni private.
Il marchio nasce nel 1903 a Berlino e cambia successivamente nome in Optima perché cade sotto il controllo dell’Unione Sovietica. Alcuni dipendenti della fabbrica, però, riescono a fuggire portando con sé i migliori campioni e progetti di alcuni dei modelli più importanti per fondare nuovamente l’azienda nel 1948, dove la produzione continuò fino al 1992.
A raccontarci la storia di questo modello è stata la proprietaria, scrittrice che ha abbandonato la macchina da scrivere solamente dopo l’avvento dei moderni blog. Si tratta di uno dei modelli più popolari, usato anche da Hitchcock in “Marnie”. Chissà, forse potrebbe trattarsi di uno dei campioni sfuggiti alla DDR negli anni della Cortina di Ferro…
Quando muore un essere umano, spesso porta con sé un’intera storia. A volte, persino un intero sapere che, se non viene documentato, rischia di andar perso per sempre. Quando siamo entrati in casa di Nadia, ad accoglierci abbiamo trovato i due figli. Antonio, sconsolato, immobile su una sedia di legno mezza rotta, e Mitia, che invece cercava di reagire al lutto ancora fresco riordinando casa, come se sua madre fosse ancora presente nella stanza, pervasiva e ingombrante. Uno che non stava fermo, l’altro che sembrava non potesse schiodarsi. La casa era piena di “cianfrusaglie”, come le definiva Antonio.
Ad ogni commento di questo genere, Mitia rispondeva dall’angolo della stanza, tenendo tra le mani il pupazzo preferito della sua mamma “sei tu che non apprezzi, in giro c’è sicuramente qualcosa”. Antonio voleva liberarsi, di cosa, non si sa. A seconda di chi decidevamo di ascoltare, il primo voleva sbarazzarsi di tutto, come se quello spazio e le cose che lo popolavano, per lui non avessero alcun valore; Mitia era restio a cedere qualsiasi cimelio catturasse la nostra attenzione. Tutto, per lui, sembrava avvolto in qualche incantesimo. Mitia ci raccontava dell’infinità di cose che sapeva la mamma, che l’Università l’aveva fatta sui libri di Antonio, pagandola di tasca propria, vendendo tutto quello che riusciva a preparare: torte, marmellate.
Nadia era un’appassionata. Di cosa, neanche loro l’han mai capito, eppure era finita sul giornale, e Mitia raccontava che in giovane età avrebbe persino potuto fare cose grandi. Più grandi di Antonio, che dopo la laurea ha aperto un’attività e ha smesso di parlare con Nadia. Più di Mitia, che lavora dal fratello da quando ha aperto, ma vive ancora lì, dove adesso Nadia non c’è più.
Ce ne siamo andati con questo set di argenteria tra le mani, e il ricordo del sorriso di Mitia, felice che, in qualche modo, i tesori della mamma potessero diventarlo per qualcun altro, ora che il suo e di suo fratello non c’è più e non è rimasto niente a metterli d’accordo.
Triciclo parte dalle persone e dalla loro autonomia e affermazione. RItiro, RIuso e RIciclo sono di certo parole chiave relative al nostro lavoro, ma rappresentano il motore di un’economia circolare attivata solo ed esclusivamente dall’intervento delle persone, dalla partecipazione del gruppo, dalla forza dell’aggregazione. La scelta di identificarci con queste parole è stato per noi il primo passo verso il riciclaggio, prima di tutto, di un’idea, un pensiero che potremmo definire attivo, d’azione, perché ricorda il movimento, il passaggio, il transito costante di persone, oggetti e iniziative che quotidianamente popolano e animano i luoghi legati a Triciclo.
Abbiamo incontrato diverse persone negli anni: clienti, soci e collaboratori di ogni genere che hanno manifestato come Triciclo non fosse solo l’occasione per sperimentarsi in percorsi di reinserimento sociale o per rimettersi in gioco, ma anche una seconda possibilità di ritornare alla vita con un nuovo punto di vista. Per molti, Triciclo rimane il punto di contatto principale con le altre persone e culture che popolano il nostro territorio.
C’è chi passa da noi per un saluto, per un caffè, per parlare di progetti e iniziative. Qui le persone trovano tesori e incontrano strade. E noi, che ospitiamo tutto questo, ne siamo contaminati e stimolati continuamente.